A PIEDI E SACCO A PELO
La macchina sfreccia dal ponte:
appena intravedo il colore d'un tetto,
un'ombra di monte,
il verde d'un prato.
A piedi m'affaccio dal ponte
e guardo il burrone di sotto,
del tetto io vedo anche le porte
e i bimbi che corrono lesti.
Il sentiero che sale alla vetta,
i cani che latrano in corsa
a mucche o capretti impazziti.
E ascolto le voci
(o macchina tetra
col suon d'un motore che gira!)
di gente contenta o adirata.
Mi giungono i ragli d'un asino stanco,
d'un bue che mugghia scontento,
di agnelli che belano al piano.
E il vento carezza la fronte,
e l'albero piega le fronde,
il ruscello rinfresca i miei piedi
o ristora la gola assetata.
E i borghi appaion distinti:
le vecchie stalle in rovina
i muri cadenti d'un vecchio porcile,
i panni aggrappati sui rovi,
ondeggianti su rami insecchiti.
Ecco la vita ripresa,
il vero turista d'un tempo
che gente conosce,
che alfin socializza
col borgo appena incontrato,
col vecchio che t'offre del vino
o un tozzo di pane con cacio.
E capire,
capire la gente che trovi di fronte,
senza la guida che parla e che corre
col treno di gente affannata a guardare
ora in alto ora in basso,
a non perdere il passo
e vedere le cose precotte
sul piatto servite,
sempre uguali, sempre le stesse,
senza nulla capire del mondo che vedi
del mondo che invano t'abbraccia,
del mondo che lascia sempre la solita traccia.
(Salvatore Armando Santoro)