Piazza Ebalia XI


DIGITALE PURPUREA

I - Si siedono. Si guardano a vicenda. Una
è magra e bionda, con vestiti semplici come
i suoi sguardi; l’altra, magra e bruna, invece,

l’altra… i due occhi onesti e pacati, sono fissi
sugli altri due che sono infuocati. “Non ci sei
più tornata?” “Mai più” “Non le ha viste più?”

“Mai più, amica mia” “Io sì, ci sono tornata;
e ho riviste le vesti bianche delle suore,
e ho rivissuto i dolci anni che anche tu conosci;

quegli anni dell’infanzia così dolci nel ricordo…”
Rachele sorrise: “ Dimmi: non lo ricordi
l’orto recintato? I rovi e le more?

i ginepri dove cinguettano i tordi?
i bossi amari? E quella segreta canzone
misteriosa, su quel fiore, un fiore di….?”

“...di morte: sì, cara” “Era vero?
Io ci credevo a tal punto, cara Rachele, che mai
mi sarei avvicinata a quel fiore fonte di tristezza.

Perché si diceva: quel fiore spande come un miele
che diffonde un’ebbrezza nell’aria: un suo vapore
che intride l’anima di un piacere dolce e spietato.

Oh! Quel convento in mezzo alla montagna
stagliata nel cielo!” Maria parla: e posa
una mano su quella di Rachele;

e insieme guardano lontano.

II - Si ricordano. Si staglia nel cielo azzurro
limpido di maggio il loro convento, in cui
risuonano litanie, e si diffonde l’incenso.

Si ricordano: e nella loro mente si diffonde
ancora l’odor di rose e di mazzi di viole,
il presagio d’innocenza e di mistero.

E nei loro orecchi risuonano, e intanto salgono
alla bocca melodie dimenticate, da laggiù
da tastiere sfiorate appena appena…

Oh! quale gradito ospite vi ha sorriso oggi
dalle grate? Motivo per cui tornaste, felici
ed arrossate, alle vostre camerate suonanti di musica

oggi: e sempre oggi, Ave, Ave Maria,
ripete la vostra voce nel coro;
e poi d’un tratto (perché?) piangete…

Piangono, un po’, nella luce dorata del tramonto,
senza un motivo. Quante fanciulle stanno
nell’orto, puntinato dalle loro vesti candide!

Un orto bianco e pieno di voci. Mano a mano,
tornano, col rumore delle vele
al vento. Resta qualcuna, a leggere il suo libro devozionale.

Lontano da loro, agili e giovani,
i fiori della digitale, che sembrano dita
umane chiazzate di sangue

spandono il profumo ignoto della loro fioritura.

III - “Maria!” “Rachele!”. Le mani si stringono
un po’ di più. In quell’ora hanno rivissuto
la fanciullezza, i cari anni ormai passati.

Memorie tenere (e l’una conosce bene quelle
dell’altra, senza parole), così come è malinconico
e rispettoso l’estremo saluto che si allontana

“Maria!” “Rachele!” Questa piange, “Addio!”
dice tra sé, poi rivolge a Maria la parola
carica di ricordi, ma non gli occhi neri: “Io”

mormora, “sì: ho provato quel fiore. Ero da sola
con i coleotteri. Il vento
trasportava odori di rose e viole

a mazzi. Nel cuore, il fermento languido
di un sogno che bruciò nottetempo e che, all’alba
s’era spento, nell’anima inconsapevole.

Maria, mi ricordo quella sera perturbante.
L’aria trasportava il lampo di fulmini che ancora
non scoppiavano in tuoni. M’inoltrai rapida,

ma cauta, su per i terrapieni erbosi, cedevoli
al mio passo. L’erba folta sembrava frenare
il mio passo. Sorridi? Io sentivo chiamarmi

‘Vieni, vieni!’ E fu molto dolce! Molto!
Così tanto che, capisci… (Maria alza gli occhi
stupiti, e comprende, e ascolta

con un brivido profondo…) se ne muore!”

(Giovanni Pascoli)