A Elena
(Regina di Sparta)
Neppure una parola
sconveniente disdegnerei,
ma su chi possiamo ricercare?
Su nessuno e da nessuno possiamo.
Forse chiede l'aro
presso la palude l'elemosina?
Le notti respirano invano
coi tropici imputriditi.
Tu giusta apparirai
pensavo, speravo, - da quel mattino
per sempre oscillando
nell'anima come giglio.
Il prato faceva amicizia coi modi
di Faust o di Amleto,
circondava di matricaria,
gli steli per le gambe volavano.
O appena,
come alitando nel sogno
la perla di una collana
sulla spalla di Ofelia.
Spasimava di notte il cascinale:
cirri impedivano
di dormire. Una pioggia sottile intabarrava
il campo di un silenzioso incedere
di gocce guardinghe.
La giovinezza nella felicità veleggiava,
come in un sommesso infantile russare
la federa sazia di sonno.
Pensavo: di Troia a lei sarebbe adatto il tempo,
delle amare labbra la sinuosità baciando:
erano palpebre meravigliose,
regali, di gesso.
Caro, morto grembiule
e tempia pulsante.
Dormi, zarina di Sparta,
è ancora presto, è umido ancora.
Il dolore sul serio
si scatenò ebbro.
Solo con esso è terribile.
Se s'infuria, - te la caverai?
Piangi, sussurrò. Corrode?
Brucia? La stessa sulla sua guancia!
Che sia il destino a decidere:
da madre o da matrigna.
(Boris Pasternak)