Matera | A Cinzia (padrona di Licinna)


A Cinzia (padrona di Licinna)
Libro III - Elegia XXV

Ero divenuto oggetto di riso tra i convitati nei banchetti
e chiunque poteva divertirsi a sparlare di me.
Ho potuto servirti fedelmente per cinque anni:
rimpiangerai spesso la mia fedeltà mordendoti le unghie.
Non mi lascio commuovere dalle lacrime: conosco già l’inganno della tua arte;
il tuo pianto, o Cinzia, scaturisce sempre da una insidia.
Piangerò, allontanandomi, ma l’offesa è più forte delle lacrime:
tu non vuoi che il nostro legame proceda felice, conveniente ad entrambi.
Ora addio, soglia lacrimante per le mie parole,
addio porta, malgrado tutto, non infranta dalla mia mano irata.
Ma te incalzi la tarda età, se pur celerai gli anni,
e sopraggiungano le squallide rughe della tua bellezza!
Allora possa tu desiderare di svellere dalla radice i capelli bianchi,
mentre lo specchio, ahimè, rimprovererà il tuo volto grinzoso,
e a tua volta respinta, sopportare l’altero disprezzo,
e vecchia lamentarti di subire ciò che un tempo infliggesti.
La mia pagina ti predice tale funesta sorte:
apprendi a temere il destino della tua bellezza.

(Sesto Aurelio Properzio)