CARI STUDENTI, IO VI ODIO
Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati.
Benissimo! Ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo borghesi, cari.
Quando ieri avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da subtopie contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene,
il loro modo di essere stati bambini e ragazzi.
Le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria,
che non da autorità.
La madre incallita come un facchino,
e tenera, per qualche malattia,
come un uccellino,
i tanti fratelli;
la casupola,
fra gli orti con la salvia rossa (i terreni altrui, lottizzati).
I bassi sulle cloache e gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari ecc. ecc.
E poi guardateli come li vestono:
con quella stoffa ruvide che puzza di rancio,
fureria e popolo.
Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico in cui sono ridotti (per una quarantina di mille
lire al mese): senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (un tipo di esclusione che non ha uguali)
umiliati dalla perdita della qualità di uomini,
per quella di poliziotti
(essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
(Pier Paolo Pasolini - 1968)